Francesco Sisto – il pirata che vuole riportare uno “Squalo” in mare

Francesco Sisto, Architetto. Lascia Taranto, a 19 anni, per studiare e lavorare a Milano e a Roma. Torna a 32 anni a Taranto.

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Per quale motivo sei tornato al Sud?
“Avviare un progetto sperimentale di recupero barche in legno.”

La tua valigia del ritorno è piena di…
“Esperienze, punti di vista, orizzonti, fatica, dolori e a volte frustrazioni, amori e amicizie… studio, nottate, ubriacate, ricordi esaltanti, estati interminabili nella calura asfissiante di Roma.

Bagni nella fontana di Trevi, Campioni del Mondo, biciclette e colli, primavere e scale, Valle Giulia, Autocad, esaurimenti nervosi e colleghi esauriti, La Piazzetta di San Lorenzo e il Pigneto, il mare dello Zion e le bestemmie e le maledizioni quando non potevo tornare al Mio di mare, fresco e trasparente, per un maledetto esame o per una consegna che faceva bruciare gli occhi e consumare le unghie.

Ma sopratutto tanta competenza, formazione e fortificazione… professionale, caratteriale e umana. Il servizio, per circa quattro anni, con i senza fissa dimora e i diversamente abili, lo scoutismo e i primi impegni politici (illusori) in Università e nel CUS che mi hanno scottato, parecchio, ma lasciato una consapevolezza che mi ha insegnato ad alzare sempre lo sguardo, a cercare di spingere il pensiero più in là dell’orizzonte e dei limiti che i miei occhi percepivano.

Ho imparato ad aprirmi alle possibilità e a non avvolgermi mai attorno alle mie presunte certezze, alla culturai o ai titoli di studio. Ho imparato ad avere una fame insaziabile di scoperta per partire sempre dalla curiosa voglia di apprendere e di approfondire che mi ha spinto, incosciente, solo e ignaro di tutto, a prendere un treno e lasciare il posto che chiamavo casa.”

Complessivamente è stato un ritorno positivo o negativo?
“Entrambi. Al di là delle oggettive difficoltà e storture endemiche della nostra terra, con tenacia, sto provando a mettere in piedi un progetto ambizioso e unico dal nulla, senza nessuna certezza o aiuto esterno se non quello di aver vinto un piccolo bando europeo per avviare questo esperimento tecnico e sociale con cui provare a contribuire a dare nuove chance alla mia città.”

Quali sono state, se ce ne sono state, le difficoltà del rientro?
“La difficoltà principale è la chiusura mentale di chi rimane e di chi si accomoda in questa dolce latenza “del deserto”.

La presunzione di avere la soluzione pronta e sperimentata per ogni cosa, l’indolenza di non mettersi mai in gioco per provare a superarsi, per provare a rischiare davvero qualcosa di se stessi e delle proprie presunte certezze.

E’ molto molto difficile superare tutto questo, sopratutto per chi ritorna carico di voglia di fare e di esperienze a contatto con vite e modi di fare così diversi e per certi versi molto più veloci di quelli ritrovati.

Consigli non ne ho. Sperimento anche io, giorno dopo giorno, il modo migliore e più indolore di affrontare e superare questo muro di gomma che spesso si frappone e avvilisce la voglia di fare e di far cambiare la prospettiva. Forse solo un consiglio mi sento di dare: diventare testardi e caparbi, cercare di non voltare la testa o distogliere lo sguardo ad ogni sussurro o dubbio o incertezza che arriva alle orecchie… sbagliare sempre, sbagliare ogni volta, sbagliare meglio di prima.”

Di cosa ti occupi?
“Sono un Architetto con un Master in “Progettazione di Impianti Sportivi e grandi infrastrutture” che ha aperto un’Officina (un laboratorio sociale per l’apprendimento del mare attraverso le tecniche lavorative della tradizione marinara) di restauro per il recupero di vecchie barche a vela in legno: Officina Maremosso e che nel suo futuro vede distese di alberi di ulivo e vigne da coltivare vicino al mare.”

La cosa che più ti mancava e/o la cosa che più ti mancherà.
“Mi mancava il mare… di giorno, di notte, nelle giornate di lavoro a sudare davanti ad uno schermo o nelle sere fresche a bere una birra in piazzetta con gli amici. Mi mancava sempre, ogni attimo, e se dovessi per qualche ragione ripartire, sarà l’unica e vera cosa che mi mancherà… sempre!”

Se hai dell’altro da raccontarci questo spazio è tutto per te!
“Credo che per noi “Sudisti” la tenacia e l’essere fuori dagli schemi sia conditio sine qua non per ogni cosa: sia che si decida di tornare, di restare o di partire… che si decida di cancellare le proprie origini o che ci si faccia mandare “il pacco da giù” ogni mese.”

Una rete tra tornati al Sud può essere d’aiuto e supporto a chi torna?
“Sì.  Conoscersi, fare rete e scambiarsi le esperienze. Un modo necessario per dare valore aggiunto al lavoro di tutti in generale e nel particolare delle attività quotidiane. Attenzione però a non cadere nell’illusione di autoproclamarsi in detentori delle “buone pratiche” (termine di memoria “vendoliana” che sto cominciando a non tollerare più).

Cosa può fare la rete BaS?
“Raccontare, raccontare e ancora raccontare… il bello ma anche i fallimenti di chi decide di tornare ma si accorge che non era la strada giusta o la migliore per il proprio percorso personale di vita.”

Ci lasci un pensiero per BaS…
E’ bello ogni tanto trovare una realtà che infonda un po’ di coraggio in chi decide, spesso assalito da ogni tipo di dubbio, di fare questo salto nel buio e risalire testardamente la corrente quando voci, giudizi e consigli tentano ogni giorno e momento di dissuaderti.”

Bentornati al Sud