Per quale motivo sei ritornato al Sud?
“Perché quando sono partito, quattordici anni fa, era solo per fare la famosa “esperienza all’estero”, un’esperienza da sfruttare per tornare a cogliere opportunità prima irraggiungibili.
Poi ho capito che quando vai via tutti ne sono contenti: l’emigrazione è una grossa valvola di sfogo per calmierare la concorrenza tra quelli che restano.
E poi, per amore di Napoli, senza dubbio! Altrimenti, da fisico, non avrei scritto un romanzo storico su Parthenope (Neapolis – Il Richiamo della Sirena), alla riscoperta delle origine mitiche e storiche di questa straordinaria città alla quale devo tanto.
Miscelate tutto questo, ed era naturale che tornassi d’impeto, per un semplice esercizio di arroganza: in fondo, dove ci sono milioni di disoccupati, uno di più non avrebbe fatto differenza, ed eccomi qua.”
La tua valigia del ritorno è piena di…
“Punti di vista differenti. Sono stato in Spagna e in Olanda, ho lavorato nella ricerca, ho insegnato in ambito universitario, ho lavorato in azienda. Essere meridionale ti dà la capacità di vedere le cose oltre la loro apparenza al primo sguardo; tornare dall’estero ti fa cadere dagli occhi quel velo di consuetudini che ti impediscono di affrontare i problemi nella loro essenza.”
Complessivamente, è stato un ritorno positivo o negativo?
“Ci sono risvolti personali (e dunque non desidero esporli) assai positivi, e un grosso problema collettivo terribilmente negativo.
Lasciando da parte il fatto che, dodici anni dopo la mia partenza, mi son trovato come in un altro Paese estero, tanto è cambiata la testa degli italiani in genere, e i meridionali non fanno eccezione, quello che mi sconcerta è il grado di egoismo raggiunto dalle persone.
Persino tra colleghi, tra amici, tra coinquilini, tra familiari, il pensiero individualista prevale sul vantaggio comune. È ovvio che una società non può (e non merita di) sopravvivere in questo modo.
Forse è stato sempre così, non lo so, non credo. Quello che penso è che, se abbandonassimo quest’atteggiamento autolesionista, viste le cose delle quali siamo capaci tra tante difficoltà, noi meridionali non saremmo secondi proprio a nessuno.”
Quali sono state, se ce ne sono state, le difficoltà del rientro?
“Al giorno d’oggi, se non lavori non esisti. Io sono un fisico, il mio mestiere è la ricerca, in Italia la ricerca la fa l’Università, al Nord, il resto sono chiacchiere da “transatlantico”.
Potevo contare su me stesso, sulla mia esperienza, e sulla voglia di andare a pestare i calli all’università fin quando non fosse uscito qualcosa, proprio come fa un neolaureato.
Parlo dunque per esperienza personale e relativamente al mio ambito lavorativo: per superare queste difficoltà bisogna innanzi tutto far fare un bagno di realismo ai tanti ministri che, quando sentono parlare di fuga dei cervelli farfugliano sciocchezze come fisiologico avvicendamento necessario in determinati ambiti, e soprattutto nella ricerca. Il punto è che, a fronte dei tanti italiani che vanno via, non esiste un ugual numero di stranieri che si avvicendano in Italia!
Ma il problema non è solo nella ricerca, è tutto il mercato del lavoro che in Italia non funziona e non permette l’immissione di forze nel circuito produttivo. Questa dovrebbe essere la priorità per qualunque amministratore, non solo per chi rientra, ma per qualunque cittadino! In fondo, chi rientra non vuole trattamenti di favore, vuole solo poter fare ciò che sa fare nel luogo che ha scelto.”
Di cosa ti occupi?
“Beh, come già detto, sono un fisico, un ricercatore, e uno scrittore a tempo perso. E vorrei tornare a fare ricerca in ambito universitario.
Sono esperto in rivelatori a stato solido per dispositivi di immagine (praticamente, i sensori coi quali scattate le fotografie coi vostri cellulari), ho realizzato un prototipo di dispositivo per mammografia digitale a Barcellona, ho contribuito alla caratterizzazione dell’occhio di un telescopio in Cile e uno alle Canarie, ciascuno da 500 Mpixel, poi ho lavorato nell’analisi di segnali per l’analisi di materiali mediante raggi X. Ora mi occupo di terminare il progetto CHEESE, una piattaforma di Realtà Aumentata realizzata da HubSpA, una start-up con sede a Giugliano in Campania, da applicare in ambito museale: HUB spa realtà aumentata & realtà virtuale”
Ci lasci un pensiero per BaS…
“Penso che BaS sia una bella iniziativa, un primo passo, una presa di coscienza. Ce ne vorrebbero di più, perché ciascuna potrebbe portare il suo contributo a rendere più vivibile questa nostra terra.
La normalità è fatta di tante voci che dicono la stessa cosa, ciascuna a modo suo. Quando uno solo dice una cosa, lo prendono per pazzo.”
Una rete tra tornati al Sud potrebbe essere d’aiuto e di supporto a chi torna?
“Sì, potrebbe, ma ritengo che questi dovrebbero essere i compiti di un ministero.”
Cosa dovrebbe/potrebbe fare la rete BaS?
“Una rete tra tornati al Sud dovrebbe svolgere una serie di mansioni che altrove (intendo in altri Paesi) sono la norma per un ufficio comunale, un ordine professionale, una camera di commercio, un ufficio di collocamento e uno delle imposte: soprattutto informare.
Ad esempio, chi rientra in Italia ha diritto a un discreto aiuto economico per il trasloco, ma di questa legge assai pochi sono al corrente, e i fondi sono gestiti dalle regioni. Guarda caso, in Campania i fondi non ci sono.
Mi rendo però conto che questa sarebbe una concorrenza sleale nei confronti del resto della popolazione…”
La cosa che più ti mancava e/o la cosa che più ti mancherà
“La cosa che più mi mancava era il sentirmi a casa: scrivo queste righe mentre la pastiera cuoce nel forno, e certo era con altro spirito che la facevo in Spagna o in Olanda. Queste cose si sentono soprattutto durante le feste, quando non si è occupati col lavoro.
Quello che mi mancherà sono le persone che ho conosciuto, gli amici che non rivedrò tanto facilmente e coi quali ho condiviso tanti momenti anche importanti della mia vita.”
Valentina Ambrosio per BaS